L’illecito trattamento dei dati personali può dar luogo a un danno risarcibile?

• Lesioni personali

La recente Ordinanza n. 18783/2021, resa dalla prima sezione della Corte di Cassazione, tratta la tematica della risarcibilità del danno causato dalla violazione di dati personali.

Il menzionato provvedimento decide il caso di un creditore che, nello svolgere attività di recupero del credito, trasmette informazioni relative ad un contenzioso intercorso tra creditore e debitrice – nel quale questa era risultata soccombente e tenuta al pagamento delle spese di lite – al datore di lavoro della debitrice, anziché ad ella personalmente.

Ebbene, la Cassazione afferma che costituisce violazione del diritto alla riservatezza sancito dall’art. 11 del Codice Privacy – d.lgs. 196/2003 la condotta del creditore il quale, nell’ambito dell’attività di recupero credito, comunichi a terzi, piuttosto che al debitore, le informazioni, i dati e le notizie relative all’inadempimento nel quale questo versi.

La Suprema Corte, pertanto, conferma la sentenza di merito n. 8438/2018 pronunciata dal Tribunale di Roma e, sul presupposto dell’illecito trattamento dei dati personali, condanna il resistente al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla debitrice ricorrente – consistito nella sofferenza provocata dalla conoscenza nell’ambiente di lavoro delle vicende giudiziarie che la riguardano, peraltro conclusesi negativamente con la propria condanna alla rifusione delle spese di lite a controparte – equitativamente quantificato in € 10.000,00.

Nel caso di specie, precisa il Tribunale di Roma, il danno non patrimoniale è ravvisabile “non perché possa riconoscersi un danno in re ipsa, ma perché, in mancanza di prove (…) è legittimo ricorrere al notorio e alla prova presuntiva, avuto riguardo all’obiettiva difficoltà probatoria del pregiudizio di cui all’art. 2059cc”.