La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14873 del 11 maggio, ha affrontato il tema della responsabilità del sindaco di società per azioni per condotte omissive.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la Curatela fallimentare aveva proposto un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci della società per azioni fallita, ai quali veniva contestato di aver compiuto, dopo l’intervenuta perdita di capitale, atti di gestione non riconducibili al fine liquidatorio o di mero completamento delle attività già intraprese.
Ai sindaci della società, in particolare, veniva contestata la conoscenza o conoscibilità, con l’ordinaria diligenza, dello stato di scioglimento della società a fronte del divario tra le perdite menzionate in assemblea e quelle esposte in bilancio. I sindaci, del resto, non si attivavano concretamente, ma si limitavano a manifestare le loro preoccupazioni invitando l’assemblea ad assumere gli opportuni provvedimenti ed esternando le loro perplessità.
La Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla illecita condotta gestoria dell’impresa, per esonerarli da responsabilità non è sufficiente dedurre di essere stati tenuti all’oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo la realizzazione dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, con uno sforzo diligente essi avrebbero potuto verificare la situazione e porvi rimedio.
Se l’assunzione da parte dei sindaci di comportamenti conformi ai doveri della carica avrebbe consentito ai medesimi di venire a conoscenza della situazione patrimoniale della società e di reagire alla stessa, prevedendo quantomeno danni ulteriori, allora gli stessi sindaci sono da ritenersi responsabili e dovranno essere condannati a risarcire i danni.
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