Danno da perdita parentale: la liquidazione inferiore al minimo è consentita solo in presenza di “circostanze eccezionali”

Danno da perdita parentale: la liquidazione inferiore al minimo è consentita solo in presenza di “circostanze eccezionali”

07 Ottobre 22

La sesta sezione civile della corte di cassazione, con la recente ordinanza n.26440 si è espressa in materia di quantificazione del danno da perdita parentale in caso di utilizzo del criterio “a forbice” con cui si afferma che la liquidazione inferiore al minimo è consentita solo in presenza di circostanze eccezionali.

I quattordici figli di V.M., morta in seguito ad emotrasfusione con sangue infetto, impugnavano la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che liquidava a ciascuno di loro, a titolo di risarcimento del danno da perdita parentale, l’importo di € 50.000,00, ovvero un importo di molto inferiore rispetto al minimo stabilito dalle Tabelle di Milano, che la Corte d’Appello dava atto di utilizzare e che, in caso di uccisione della madre per colpa altrui, prevedono che al figlio spetti un importo variabile tra i 163.990 e 327.990 Euro.

Il giudice del secondo grado motivava una liquidazione inferiore al minimo tabellare in ragione del fatto che la vittima era anziana, malata e che i figli fossero adulti e conducessero “una vita ormai avviata”.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso dei danneggiati imputando al Giudice dell’appello la violazione dell’art. 1226 c.c., rammentando che “la liquidazione di pregiudizi sine materia come il danno da uccisione d’un prossimo congiunto” può dirsi “equa” quando garantisca da un lato la “parità di trattamento a parità di danni” e, dall’altro, “adeguata flessibilità per tenere conto delle peculiarità del caso concreto”.

Il rispetto del principio della “flessibilità” della liquidazione esige, quindi, che “a) si accertino tutte le circostanze di fatto rilevanti nel caso concerto, per quanto dedotto e provato dalle parti; b) si sceverino quelle “ordinarie” da quelle “eccezionali”; c) si attribuisca rilievo soltanto alle seconde, per aumentare o diminuire la misura standard del risarcimento”.

Secondo la Corte, “l’età della vittima, l’età del superstite, la convivenza dell’una con l’altro, la costituzione d’un autonomo nucleo familiare da parte del secondo” sono fatti e conseguenze da reputarsi ordinarie e pertanto “avrebbero potuto bensì consentire una variazione della liquidazione tra il minimo ed il massimo tabellare, ma non una liquidazione inferiore al minimo”. Questa, invece, presuppone “l’accertamento di ulteriori e diverse circostanze di fatto, quali ad esempio l’assenza di un saldo vincolo affettivo, l’esistenza di dissapori intrafamiliari, l’anaffettività del superstite nei confronti del defunto”.

Infine, quanto alla malattia della vittima, la Suprema Corte ribadisce “il principio che uccidere una persona già malata è pur sempre omicidio, e che non è possibile stabilire in astratto alcun automatismo tra la malattia del defunto e il minor dolore provato dal familiare superstite.”

La Suprema Corte conclude sul punto affermando, quindi, il seguente principio di diritto: “quando la liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d’un congiunto avvenga in base ad un criterio “a forbice”, che preveda un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie. Tali non sono né l’età della vittima, nè quella del superstite, nè l’assenza di convivenza tra l’una e l’altro, circostanze tutte che possono solo giustificare la quantificazione del risarcimento all’interno della fascia di oscillazione tra minimo e massimo tabellare”.

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