Il datore di lavoro può al contempo rivestire la qualifica di R.S.P.P. (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione)?

Il datore di lavoro può al contempo rivestire la qualifica di R.S.P.P. (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione)?

19 Maggio 22

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16562 del 29 aprile 2022, ha affrontato il caso del legale rappresentante di una società, avente anche la qualifica di R.S.P.P. oltre che di direttore dello stabilimento aziendale, ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo aggravato per la morte di un operario, causata dalla violazione degli obblighi di prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro.

Con il provvedimento in commento, la Suprema Corte ha preliminarmente statuito che il ruolo datoriale e quello di R.S.P.P. spettano in capo a soggetti diversi, in virtù delle diverse qualifiche e funzioni che strutturalmente denotano tali ruoli e, dunque, per evitare una loro confusione.

In particolare, se il datore di lavoro ha una funzione essenzialmente decisionale, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ha un ruolo prettamente consultivo e interlocutorio, che non dovrebbe sovrapporsi con i compiti decisori di parte datoriale.

Invero, secondo la Cassazione, il datore di lavoro e l’R.S.P.P. devono dialogare tra loro ed anche cooperare al fine di assicurare la migliore organizzazione in materia di sicurezza, mantenendo tuttavia distinti i rispettivi ambiti di operatività.

Diversamente, una unificazione delle funzioni nello stesso soggetto contribuirebbe a creare confusione nella gerarchia aziendale, oltre a concentrare in un’unica persona tutti gli oneri decisionali ed esecutivi rispetto alla valutazione e alla gestione dei profili di rischio.

Muovendo da siffatta interpretazione e motivazione, la Suprema Corte ha concluso affermando che il cumulo dei due diversi ruoli – datore di lavoro e R.S.P.P. – rappresenta una disfunzione organizzativa all’interno dell’azienda, conseguendone un colposo difetto di parte datoriale.

Nel caso concreto, pertanto, la Cassazione ha confermato quanto deciso dalla Corte d’Appello rispetto alla responsabilità penale del legale rappresentante della società.

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